Se la guardi dritto negli occhi mentre sorride, non sai dire quanti anni abbia: sembra una bambina che ha vissuto tanto. Occhi che brillano, voce che rivela consapevolezza, fermezza e dolcezza: sono i tratti che connotano tanto la persona quanto la personalità e le opere di Beatrice Capozza, illustratrice e pittrice coratina.
In giorni difficili come questi, in cui siamo aggrediti dalla minaccia del Covid-19, impotenti di fronte alle conseguenze della guerra in Siria per tanti bambini ed esseri umani, incapaci di frenare quello che di negativo accade nel mondo e al nostro pianeta, forse abbiamo bisogno di messaggi semplici e profondi insieme. Per questo ho deciso di parlare di Sogno di volare, il primo silent book di Beatrice Capozza, e intervistarla su questo lavoro e su altre sue opere che possiamo ammirare spaziando tra città pugliesi (Bitonto e Andria) e Riace, il centro calabrese ormai conosciuto ai più. Non solo: con l’intervista, come sempre, ho voluto “incontrare” davvero e far parlare la donna che è, che vive di emozioni e suggestioni, oltre l’artista. Come sempre, l’ultima domanda è di rito: suggerimenti per conoscere altre opere e nomi di altri artisti, tra letteratura, musica e fotografia. Perché, soprattutto in questi giorni così delicati per l’Italia, abbiamo il dovere di nutrire la cultura attraverso la strada più facile e immediata: la curiosità. Stando a casa.
Nato grazie al coraggio di chi sceglie la via dell’autopubblicazione, Sogno di volare è una poesia disegnata e intrisa di tonalità tenui ma efficaci. Protagonista, un bambino dall’abbigliamento improvvisato: come quei bambini che giocano e con la fantasia trasformano quel che hanno, il nostro piccolo eroe indossa un salvagente, un cappello e una visiera da aviatore. Poi vola, vola su tutto il mondo, e dall’alto abbraccia tutti i mari. Mari che non sono soli: hanno mille bagliori, mille volti e mille nomi: quelli di chi accoglieranno, di chi tenterà di attraversarli da riva a riva nella ricerca di un’altra strada per la propria esistenza. Ha un sogno nel sogno, questo bambino: volare e salvare l’umanità. Come ogni eroe che si rispetti, Beatrice Capozza ha previsto anche per il suo piccolo protagonista degli alleati: le libellule. “Nel silenzio ascoltarne il battito leggero” è la frase con cui
nel testo si annuncia l’arrivo dei rinforzi, parole essenziali ma potenti per innescare nella mente dell’osservatore-lettore il suono che si fa via via più intenso e presente, in un climax di percezioni e sensazioni, piuttosto che di significanti.
Quasi a ricordarci che “Vola solo chi osa farlo”, come ci incoraggia Sepúlveda nel suo Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, e a sottolineare che abbiamo bisogno dell’aiuto reciproco per raggiungere le nostre mete più nobili, saranno le libellule a far splendere sul volto del piccolo protagonista la consapevolezza di chi ce l’ha fatta.
L.L. Sei una illustratrice. Cosa significa esattamente per te?
B.C. Sì, mi sento anche un’illustratrice, in quest’ultimo periodo sono più orientata dal punto di vista espressivo verso il mondo dell’illustrazione. L’illustrazione mi permette di raccontare meglio le mie sensazioni ed emozioni. Il gioco delle tecniche diverse di colore e disegno, alternate o sovrapposte, mi permettono di esprimere più concetti .
L.L. Il tuo libro illustrato, Sogno di volare, è lieve come una poesia e intenso come un messaggio al mondo, all’umanità intera. Chi è davvero il bambino protagonista?
B.C. Sogno di volare è frutto di più ispirazioni. La prima e la più importante è derivata dal modo di giocare di mio figlio Enrico. Il travestimento è uno dei giochi più divertenti per tanti bambini, offre loro la possibilità dì immaginare e poi dare vita ai loro sogni. In questo caso, il sogno era quello di diventare un eroe. Mi sono interrogata su chi possa oggi essere eroe: è nata così un’immagine nitida. Per me, l’eroe dei nostri tempi indossa il giubbotto salvagente e sogna di volare su di una riva che abbraccia tutto il mondo, per aiutare chi ne ha bisogno. Fermo restando che l’immagine del protagonista riguarda molto mio figlio, un’altra persona ha ispirato il silent book. Si tratta di Giovanni de Palma, carissimo amico elicotterista dell’Esercito Italiano scomparso prematuramente. La sua presenza è sempre molto viva in tutto ciò che faccio, questo lavoro è dedicato a lui.
L.L. Hai realizzato dei ritratti per un evento culturale di Riace, organizzato dall’associazione culturale La Casa della Poetessa,
associazione che promuove l’idea di convivenza pacifica e intercultura attraverso varie forme d’arte pubblica. L’umanità resistente – Volti di Riace è il titolo del tuo reportage. A chi appartengono i volti ritratti, come raccontano la loro storia attraverso le tue opere?
B.C. Il reportage L’umanità resistente – Volti da Riace è frutto di una residenza artistica tenutasi presso la Casa della Poetessa di Riace, la struttura che ospita l’omonima associazione culturale, su invito di Daniela Maggiulli, attivista volontaria dal 2017. Nel periodo in cui sono stata con la mia famiglia ospite a Riace, ho dipinto diverse zone della struttura, ma non solo, perché l’esperienza più preziosa è stata il contatto con la comunità. La comunità riacese, nel periodo 2017/2018, era in continuo divenire , ricca di colori, voci diverse, suoni provenienti da tutto il mondo. La stagione dell’accoglienza, però, per vari motivi (soprattutto politici) si avviava alla conclusione e quindi erano visibili anche malumore e grande disagio. Con il reportage di ritratti ho voluto raccontare l’incontro tra persone diverse per età e tradizioni, ma al tempo stesso animate dalla stessa speranza. Ho per questo ritratto i volti di alcuni riacesi: perlopiù anziani, bambini e ragazzi migranti di varia nazionalità, a testimoniare una convivenza possibile. Ho conosciuto personalmente molti di loro, di altri ho ascoltato le storie. Trasferire le emozioni che mi hanno comunicato è stato un atto dovuto. Con la grafite ho fermato i lineamenti dei loro volti e con il colore ho cercato di fermare le sensazioni legate al loro luogo di appartenenza. Adesso questa speranza è stata interrotta sia per chi è da sempre a Riace sia per chi è stato costretto ad andar via.
L.L. Tra i tuoi lavori ci sono anche il dipinto parietale dedicato ai Santi Martiri di Abitene della chiesa omonima di Bitonto e le tele realizzate per la Chiesa della Madonna della Grazia di Andria. Sicuramente il sacro richiede ed evoca sempre una predisposizione d’animo differente rispetto ad altri lavori. Vuoi raccontarci la tua esperienza rispetto a questi, che sono principalmente di ricerca e creazione?
B.C. Per quanto riguarda i dipinti e le opere di carattere sacro, realizzati per la chiesa di Bitonto dedicata ai Santi Martiri di Abitene e per la chiesa Madonna della Grazia di Andria, l’approccio al lavoro è stato completamente diverso. Trattandosi di commissioni per la realizzazione di opere predefinite, ho dedicato gran parte del tempo alla documentazione e allo studio del tema. Nel dipinto parietale, di metri sei per otto, raffigurante i Santi Martiri di Abitene, i cinquanta fedeli che si sono sacrificati per poter santificare la domenica all’epoca di Diocleziano rappresentano per me l’immagine della fede più autentica. Il loro sacrificio ha permesso la celebrazione della messa domenicale in tutto il mondo cristiano. I cinquanta corpi dipinti sono avvolti in uno sfondo azzurro, perché tale è il colore del cielo: sono raffigurati nel momento del passaggio come anime nella gloria.
Nella chiesa di Andria dedicata alla Madonna della Grazia, sono stata invitata a dipingere un cielo stellato nella cupola posta nella navata centrale. Simbolicamente, il cielo stellato riproduce il manto della Madonna che dall’alto avvolge i suoi fedeli, proteggendoli. Questo è il tema a cui il tempio è dedicato: dalle vetrate che riproducono il blu intenso della cupola penetra la luce, inondando così la chiesa del colore azzurro. Per la stessa chiesa ho dipinto la Via Crucis su tavole di legno di dimensioni quaranta per quaranta (centimetri). Le tavole sono situate nel corridoio che abbraccia la navata centrale, mentre le tele e le vetrate si trovano nella zona del coro, in quella dedicata alla fonte battesimale e nella chiesa piccola. Queste ultime sono state le più impegnative dal punto di vista creativo e sicuramente per me anche più entusiasmante, perché ho potuto interpretare liberamente, sempre con il consenso della committenza, i soggetti. L’approccio , il lavoro, lo studio per raggiungere la realizzazione di un’opera artistica sono il bagaglio che nel tempo si arricchisce di emozioni ed esperienze e che sono pronte a saltar fuori non appena ce n’è bisogno. Per me, poi, anche il luogo destinato all’accoglienza dell’opera è fondamentale, diviene fonte di ispirazione. Infatti sono stata molto contenta di sentir dire che il senso della fede si avverte conciliandosi con la modernità dell’opera, di veder riconosciuta la mia dedizione al lavoro in tutte le sue fasi.
L.L. Cosa volevi diventare da grande quando eri una bambina e chi sei oggi?
B.C. Da piccola volevo essere come Raffaella Carrà e Loretta Goggi!
Ballavo spesso davanti al televisore cercando di imitarle, ma poi crescendo ho sempre avuto meno coraggio e ho represso spontaneamente questo desiderio. Quindi ho riversato tutta la mia energia nel disegno e nella pittura , ho scoperto l’arte del fumetto e dei libri illustrati. E sono questi ancora i miei sogni: da grande vorrei illustrare libri oppure danzare.
L.L. Ti chiedo il nome di una illustratrice o un illustratore che secondo te dovremmo conoscere, il titolo di un libro che dovremmo leggere e quello di un brano che dovremmo assolutamente ascoltare.
B.C. Cinzia Ghigliano è forse l’illustratrice che seguo da sempre e che apprezzo sempre di più, in quanto da un po’ di tempo è passata dal fumetto all’illustrazione di albi curando storie di artiste importanti, come Vivien Maier e Tina Modotti, entrambe fotografe. Anche se mi piace molto leggere, da un po’ di tempo le mie letture riguardano soprattutto gli argomenti utili al lavoro in corso. In passato ho amato Banana Yoshimoto, diversi suoi libri mi hanno divertita, ma quello che mi ha appassionata davvero è un libro curato dalla scrittrice Nadia Fusini che ha messo a confronto Francis Bacon e Bechett, portando così pittura e teatro sullo stesso piano, in un dialogo davvero originale e inedito. Water from the same source è un brano dei Rachel’s, gruppo statunitense ormai sciolto, dalle sonorità evocative. Ascoltandolo non sento più lo scorrere del tempo, ma solo la leggerezza dei sogni e il crescendo delle emozioni.
Vi lascio con suo pensiero talmente tanto bello che vorrei fosse profetico: in questo momento storico abbiamo bisogno di gentilezza e responsabilità verso il prossimo, oltre che per noi stessi.
Luana Lamparelli
NOTA BIOGRAFICA
Nata a Corato nel 1966, consegue il diploma all’Istituto d’Arte di Corato, con specializzazione in oroficeria. Si trasferisce a Milano, dove avvia il suo percorso come illustratrice e pittrice. Studia diversi stili di rappresentazione, prediligendo lo stile figurativo. Gianni Buccheri e Luigi Basile sono i suoi primi maestri importanti, seguono negli anni Cinzia Ghigliano, Alicia Baladan, Livio Sossi, Andrea Bruno, Andrea Bonanno, Anna Castiglioni e molti altri nomi importanti nel panorama italiano dell’illustrazione e della pittura.
Tra i suoi lavori più importanti, ad Andria è possibile apprezzare il dipinto su parete da lei realizzato nella Chiesa dei Martiri e la decorazione della volta nella Chiesa della Madonna della Grazia, la realizzazione grafica della città di Andria su sei vetrate della Chiesa Canonica, insieme alla via Crucis su tavole di legno.
Ha realizzato anche murales, reportage e workshop.
Tra i murales, ricordiamo quello presso la Casa della Poetessa di Riace, a cui si accompagnano altri realizzati per il Festival Placanica e per il Festival dei Giardini degli Esperidi.
Importante il suo lavoro e il suo impegno a livello locale, per la promozione sociale e culturale della donna nella vita attiva del territorio.
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