A MEZZANOTTE SAI

La villa a Cervo era appartenuta ai trisavoli di Eva.

Abbandonata da decenni, un bel giorno aveva chiesto a suo padre se potesse sistemarla. Aveva un’idea precisa: ristrutturarla, arredarla, riempirla di fiori e piante, farne la sua roccaforte.

Nessuno l’avrebbe mai reclamata: né i suoi genitori, né i suoi fratelli, per cui tanto valeva applicare anche a quell’immobile il suo motto: dare valore a quello che si ha.

Detto, fatto.

Dopo tre anni di lavori intensi, seguiti a tratti da vicino a tratti da lontano, dividendosi tra Lucca e Cervo, era tutto perfetto. Poche persone avrebbero dovuto conoscerla, per un motivo preciso e particolare: tra gli alti e spessi muri perimetrali di quella nuova casa, Eva doveva solo vivere serenamente, accumulando momenti di non trascurabile felicità. “La felicità si racconta sempre male perché non ha parole, si consuma mentre se ne va”, le diceva sempre Alberto, canticchiando il brano di Patrizia Laquidara e Mario Venuti. “Io non voglio smarrire la mia vita per un carnevale, né tradirla per un’illusione soffiatami negli occhi”, rispondeva per rime e metafore lei, richiamando a tratti il testo della canzone ma esprimendo la sua filosofia. Un credo che non faceva una piega.

Alberto Vettori, scrittore affermato, nonché saggista e amico di vecchia data di Eva Zelda Ayroldi.

Anche lui aveva ricevuto la mail, sì. Faceva parte anche lui del folto gruppo di frecamidolce.

Davanti a quell’appello di Eva per la mezzanotte, prima aveva sorriso pensando alle Mollesche, poi s’era rabbuiato di pensieri. Partecipare alla stanza virtuale o fingere di non aver letto per tempo la mail?

La memoria gli aveva ripresentato il conto dell’unica volta in cui si erano trovati a Cervo tutti insieme nella storica dimora, sempre su invito e iniziativa di Eva. Estate 2018.   

La roccaforte di pensieri e momenti felici, quella volta, era saltata per aria.

La colpa era stata del re dei castelli di carta: lo scrittore Alberto, appunto.

Foto: Annie Spratt

La notte del fattaccio

“Adesso facciamo un gioco”, aveva esclamato due anni prima a fine cena, mentre tutti gli ospiti si rilassavano tra dolci e amari. “Un gioco molto semplice. A turno, ognuno di noi racconta due storie di sé, una vera, l’altra inventata. Gli altri devono indovinare quale sia la vera e quale la falsa.”

“Le racconterò entrambe vere, così crederete siano entrambe inventate. Intanto vi avrò raccontato fatti raccapriccianti su di me”, aveva profetizzato Ettore.

“Toglietegli il vino, per favore, prima che s’addormenti per gli effetti dell’alcol e non ci confessi nulla”, aveva allora ironizzato sua sorella.

Le voci e le risate, le considerazioni e le riflessioni avevano iniziato ad accavallarsi, intersecarsi, fino a sfumare nel silenzio. Il gioco aveva preso piede. Complici gli alcolici e i superalcolici, tra distillati, liquori, amari e grappe, il gioco stava coinvolgendo così tanto i partecipanti che, senza filtri e senza veli, avevano iniziato a raccontare di sé l’insospettabile. Tutti abbiamo tre vite: una pubblica, una privata e una segreta, diceva un vecchio film che avevano visto nella loro tarda adolescenza. Da allora Alberto, occhi azzurri e fisico da cestista, non l’aveva scordata. Adesso voleva conoscere i segreti dei suoi amici più fraterni, per mischiare le carte e dimostrare a Eva che non fosse vero si conoscessero davvero solo per il fatto di conoscersi da sempre.

“Si può essere estranei e sconosciuti in mille modi, per mille ragioni”, asseriva per convincerla.

“Non saremo mai come i tuoi protagonisti, quelli dei tuoi romanzi, Vettori”, replicava lei sorridendo. “La vita è più semplice e più bella.”

Quella sera, per vincere su di lei e portarla a ricredersi, aveva deciso che ognuno avrebbe scoperto le proprie carte segrete da sé, spontaneamente. “Basta creare la giusta situazione, come con i romanzi gialli” e alla fine Alberto Vettori era riuscito persino a condurre due protagonisti in carne e ossa a una rissa. Una scazzottata che, se non fosse stato per Eva, chissà come sarebbe finita. Certo, prima c’erano state le dichiarazioni scomode e sconvenienti di tutti gli altri, le lacrime di Giulia, la sconfitta di Stefano, le risate di Anna e la sua vergogna rispetto a tutto quello che è soddisfazione ammirevole, la teoria di Marco sull’astenersi dall’avere rapporti con una donna per diverso tempo per impiegare le energie in altro (“Basta che non siano uomini”, aveva ironizzato qualcuno). Adesso, però, c’erano quei due, Michelangelo Ambrosini e Davide Spallucci, che si menavano perché si scoprivano le calunnie di Michelangelo a danno di Davide.

Eva si era frapposta tra i due, correndo il rischio di ricevere un ceffone o un pugno in pieno viso, per quanto i due fossero accecati dalla rabbia. A un tratto Davide s’era fatto indietro, Ettore ne aveva approfittato per tirate da una parte Michelangelo. A quel punto, Eva aveva preso sottobraccio Davide e aveva cercato di portarlo in casa. Era stato allora che Alberto le si era avvicinato, vittima della sua stessa intenzione carnefice. Con uno sguardo fulmineo e severo, Eva l’aveva zittito prima ancora che parlasse. “Sei contento ora? Le carte son mischiate abbastanza o sono ancora troppo in ordine, per i tuoi gusti?”, l’aveva rimproverato, sottovoce.

Il gioco al massacro non aveva risparmiato nessuno, tranne Carolina e Chantal.

Chantal, sempre composta e misurata – a dispetto del suo nome che, come avrebbe detto Jep Gambardella, Sottende ambizioni -, aveva chiaramente usato i due racconti a disposizione per formulare due semplici dichiarazioni: “Uno: non ho nessuna intenzione di mettere in piazza i miei segreti, proprio in nome dell’amicizia che ci lega da prima delle nostre nascite. Due: vi ascolterò con dedizione, come ho sempre fatto”. Se n’era uscita brillantemente, nulla da eccepire. Ancora una volta, aveva dato prova delle sue capacità di sintesi estrema, strategia comunicativa e capacità di gestione delle criticità. Del resto, non era un caso che fosse diventata l’imprenditrice manager a capo di un’azienda (sua) con fatturato da capogiro.

Carolina. Carolina, invece, era sgattaiolata in camera, dopo il fattaccio della rissa, scansando quella patata bollente. Un solo problema: gestire ansia e imbarazzo di fronte a Eva che conosceva il suo segreto. Il gioco malefico dello scrittore poteva rovinarla, lei che non sapeva sentirsi a suo agio quando nuda di fronte a chiunque sapesse qualcosa che la riguardasse.

La decisione di Carolina

Di fronte all’invito di Eva per ritrovarsi tutti in tempi di confinamento nazionale, passando dal 2020 al 2018 e tornando al 2020, se Alberto aveva già deciso di non partecipare alla réunion che Eva organizzava in remoto, Carolina era indecisa.

Nell’indecisione, la mezzanotte era arrivata, il link su cui cliccare pure.

Vedere o non vedere Eva e tutti gli altri?

Essere o non essere esposta al pericolo?

Ci pensa bene Carolina. Valuta pro e contro. Prova a immaginare come potrà sentirsi una volta svelato il segreto. Alla fine sorride.

“È una storia vecchia, potrà dare scandalo nell’immediato, presto dimenticheranno tutti”, si dice alla fine. 

Carolina spalanca un sorriso, Carolina pigia sul link.

Solo mentre attende il reindirizzamento nella stanza ayroldiana punta l’attenzione sull’oggetto della mail: Apocalisse, legge.

Così torna a un’altra notte.

Una notte di sei anni prima

Apre il portone, lo chiude, fa risuonare i passi. Tacchi alti, baby. Ovviamente ha acceso la luce del portone e non doveva, ma l’uomo che l’attende non le aveva chiesto di evitare. Non l’aspetta sul pianerottolo, come fa di solito: resta sulla soglia nella speranza di rimproverarla sotto voce non appena la vede spuntare sull’ultima rampa, così che rallenti l’andatura e il frastuono. Sono le due del mattino, la gente dorme. Lei s’avvicina, altri due gradini e può  scorgerla anche lui.

Boom, la bomba.

Come glielo dice adesso? Tutta colpa del vestito.

Gradino dopo gradino, s’avvicina sempre di più e la vede meglio. A mala pena, le fa cenno col capo alla luce. Lei invece risponde: “E mica me l’avevi detto al telefono, che dovevo evitare d’accenderla, salire al buio!”, e ha ragione. Avanza determinata, spara dritto negli occhi di lui lo sguardo sbarazzino. Con un movimento sinuoso si fa spazio tra la porta e l’uomo, e lo supera. Lei è dentro e lui si sente un cretino. Chiude la porta, lei si rigira sui tacchi, la guarda.

“Quindi davvero vieni da una festa” le chiede.

“Ma no, tesoro. Mi sono vestita e truccata e sistemata nel giro di nemmeno mezz’ora, ho fatto i chilometri che dovevo smaterializzandomi per poi ricomporre le particelle mie e del vestito davanti al citofono del tuo studio, ed eccomi qui. Se avessi preso l’auto, avrei impiegato più tempo” risponde sorniona.

Percorre il corridoio, supera la sala riunioni, la postazione del segretario factotum, lancia un’occhiata allo studiolo dell’avvocatessa “papera” (come le piace apostrofarla), procede verso la stanza che meglio conosce, senza esitazione alcuna. Si ferma solo quando è in piedi davanti all’enorme scrivania, in corrispondenza di una delle due sedie per le consulenze. Attende che lui la raggiunga e vada a sedersi sul divano che è nell’angolo tra le due finestre, in obliquo rispetto alla scrivania.

“Non è ancora il momento delle scansioni,” esclama vedendo lui che non smette di fissarla.

“Non ti accomodi?”

“No, stasera no. Ho un’idea.”

Lui invece inizia ad avere paura.

“Perché sei venuta via dalla festa?”

“Non c’era nessuno di interessante. Mi stavo divertendo con le mie amiche,questo è vero. Poi ecco il tuo messaggio. Non ci ho pensato due volte, ho salutato tutti eeeeeevia. Hanno capito tutto.”

“La vostra associazione a delinquere.”

“Tu piuttosto, avvocato dei miei stivali, tu che ami far di conto e di parole, cosa ci fai nel cuore della notte nel tuo studio?”

“Ho lavorato fino a tardi. Ma perché resti in piedi?”

“Ce li hai gli auricolari, qui?”, mi chiede mentre inizia a smanettare col suo cellulare.

Ritorno alla realtà

Carolina ricorda tutti i dettagli di quella notte lontana, nonostante siano passati anni e anni e avvenimenti a non finire.

La sua richiesta è accettata, Eva la fa entrare nella stanza virtuale.

Ad accoglierla, un chiasso disordinatissimo.

– Eccola, la nostra ritardataria – le da il benvenuto la “padrona di casa”.

Carolina ride e adesso ne è certa: ha fatto bene ad accettare l’invito, a decidere di rincontrare tutti.

L’isolamento nazionale, la quarantena, la delicatezza del momento così critico… Come non vedere i suoi amici di sempre proprio ora? È felice.

Li guarda tutti, nei loro piccoli rettangoli sul monitor del pc.

Eva ha come sfondo una supermega villa americana in stile “Il grande Gatsby”, è vestita in perfetto stile Charleston. Un boa in piume di struzzo sulle spalle, una fascia sulla fronte per tenere a bada la frangia del suo caschetto distinto, il trucco degno di una truccatrice di teatro.

Ettore, invece, ha alle spalle una spiaggia hawaiana, merito delle applicazioni più inutili e divertenti; una ghirlanda di fiori finti cade sul torso nudo. Solo Eva conosce la motivazione della scelta di Ettore, il suo vero intento. Esiste fra loro due un rimando preciso, come un parlare in codice che solo lei può decifrare.

Chantal ha un cappello a tesa larga, un Borsalino rosso con fascia nera, regalo di Eva per un compleanno speciale. Sul viso, i suoi immancabili occhialoni neri Tom Ford. Sotto la giacca doppiopetto, pare non indossare altro che un reggiseno.

E poi Davide e Michelangelo che sono vestiti dalle due gemelle di Shining, segno che hanno superato la scazzottata.

Giulia è in abito da casalinga, la divisa che indossa dall’inizio della quarantena.

Romy è rinchiusa in lavanderia, tra lavatrice e scatoloni a scaffale, seduta sulla montagna dei panni da lavare. Di diplomatico le sono rimasti solo gli occhiali, rigorosamente verde scuro. Verde: il colore della comunicazione; scuro: la determinazione e l’aplomb che devi avere di fronte a certi soggetti al potere istituzionale.

La scrittrice, la mia preferita, quella per cui conosco tutti questi personaggi fantastici, ha indossato un kimono, regalo dal Giappone ricevuto quando aveva tutta un’altra vita e non era radiosa come ora. Intorno, sulla sua scrivania, uno smalto nero, un tazzone con un dito di thè non bevuto, l’agenda per il suo lavoro da editor e copywriter, i guanti da ciclismo. Il pallone da basket è nel solito angolo, poco più distante dal tappetino di pilates. Ha già iniziato a dire “Smettetela, non ho voglia di raccontare di voi in nessun romanzo. Toglietevelo dalla testa”. Loro, come sempre, ci provano. È l’inconveniente di tutti gli scrittori: esiste sempre chi preme perché sia reso immortale.

Io morirò e quella puttana di Madame Bovary vivrà in eterno, aveva dichiarato secoli prima Flaubert. La scrittrice, dal canto suo, non ama nemmeno i romanzi così melensi: se fosse stata amica sua, Madame Bovary avrebbe preso un sacco di schiaffi. Il romanticismo ha sempre qualcuno che si suicida, alla fine; la scrittrice è per la vita e il coraggio, che spesso meritano di mandare qualcuno a quel paese.

Le Mollesche sono a letto, ognuna nel proprio paese, ognuna nel suo letto. Louise dorme sotto la giostra di origami, Ludovica stringe il suo tutù e sogna.

Elide ha una camicia bianca in seta, un cilindro sulla testa, shorts di paillettes nere come le scarpe da tip tap che nessuno ancora vede. Il trucco è il solito, raffinato ed essenziale: ciglia sulle palpebre, smalto rosso sulle unghie, però il suo aspetto è stravagante e accattivante per l’eyeliner magistralmente messo sia a sottolineare lo sguardo sia a disegnare due baffi stile Dalí.

E poi Giovanni, Mario e tutti gli altri in borghese.

Carolina, invece, è vestita come quella notte di sei anni prima, la notte del suo segreto scabroso. Ha lo stesso vestito di John Richmond, lo stesso trucco, lo stesso chignon alto a scoprire la nuca.

In sottofondo, guarda caso, una canzone precisa. “Ma il caso non esiste”, pensa tra sé, e così decide: su due piedi, coglie quella coincidenza come un segno e pronuncia a gran voce:

– Ho un conto in sospeso con tutti, tocca a me, devo raccontare le mie due storie scomode e segrete.

Sono tutti gasati, tra l’alcool in circolo e la musica. Eva lancia il link nella chat della stanza virtuale e loro attivano i brani con un click. Diplo fa sentire più a suo agio Ettore, che stringe un bicchierone da cocktail come quelli dei party americani a bordo piscina.

Qualcuno inizia a fare il tifo per Carolina. Sono matti, matti come sempre. Nella disperazione di questo spazio di Storia, l’amore li salva almeno per stanotte.

– Ho avuto una relazione con un uomo più grande di me di sedici anni, e sposato, e che conoscete.

Silenzio. Solo zio Bob continua a random.

Eva sistema la sua frangia, porta in avanti le punte del suo caschetto.

Romy solleva le sopracciglia, guarda il pavimento per un attimo.

Alberto cosa avrebbe previsto, se questo fosse stato un copione, un suo scritto?

È la scrittrice a prendere la parola: – Ci dirai chi è oppure no?

Effettivamente questo dettaglio non era contemplato: nessuno aveva mai parlato di nomi da fare, Alberto non aveva specificato nessuna regola. Ci pensa.

Ettore però è intelligente, ha già capito tutto. A confermargli l’esattezza della sua intuizione è stata Eva, senza che lei ne fosse consapevole o lo volesse. Lui sa bene che, quando si accarezza i capelli per accertarsi che siano a posto, qualcosa di scomodo sa o sta accadendo. E cosa può essere? Chi può essere? Chi può corrispondere a quei calcoli, su base anagrafica?

– Il fratello di zio Aldo – proclama lui alla fine.

– Esatto – conferma Carolina.

Scoppiano tutti a ridere. Chi è incredulo, chi pensa sia una cavolata, chi si complimenta con lei, chi le dice che si tratta di una frottola per cui ora le tocca raccontare un secondo fatto.

Carolina capisce che Hitler aveva ragione: se vuoi nascondere bene qualcosa, devi sistemarlo dove tutti possano vederlo.

Ride risollevata.

– L’altro fatto scomodo e segreto è legato al vostro credere o meno a quello che vi racconto, perché se mi credeste, tutti sareste in una posizione scomoda e quindi da nascondere, da tenere segreta.

– Brava Carolina, sei cresciuta! La più piccola del gruppo promette bene. E adesso dicci, che canzone vuoi che parta? Stasera il gioco è “Scegli una canzone per il dj” – esordisce Eva.

Carolina ci riflette un attimo. Ritorna ancora a quella notte di sei anni prima. All’uomo seduto sul divano, a un  tratto, aveva consegnato il cellulare e ordinato: “Metti gli auricolari. Hai già la schermata giusta. Al mio via, schiaccia play”, aggiungendo subito dopo:  “Non si può fare rumore, qui, no? E di giorno non saremmo mai soli. Tanto, pure se lo fossimo, il volume alto non si potrebbe tenere. Allora ti ho preparato una sorpresa. Ascolteremo la stessa musica, ognuno per conto proprio, tu dal tuo cellulare, io dal mio. Ho già impostato il brano sul tuo. Per il resto, tu guarderai quello che io faccio, e io guarderò quello che la tua faccia fa.”

Intorno a loro, fuori dalle cuffie, silenzio e strade vuote. Un silenzio che, l’indomani, nello studio legale avrebbe fatto molto rumore. Che ballerina e che abilità nel coordinare i movimenti, Carolina. Pool dance o burlesque? Come si chiamasse, lui lo ignorava.

“L’arte d’improvvisare mi riesce ancora bene”, pensa fra sé la ragazza, mentre nessuno bada già più al suo racconto ed Eva le strizza l’occhio nella telecamera. Ettore la chiamerà di nuovo, resta solo da indovinare quando.

Alberto, nello studio della sua casa solitaria, riordina libri ascoltando Frank Sinatra. Ha iniziato nella mattinata e non ha ancora terminato. Fissando quelli che ancora sono in disordine, pensa che la vita sa essere ironica nonostante il Covid-19, nonostante le tragedie: i dorsi dei libri sembrano avere un messaggio per lui. Ci vorrebbe una Thatcher, e quella è senza dubbio Eva; Guerra e guerra, come quella che aveva causato lui a Cervo; Il mirto e la rosa, come le rose amate da Ettore e il liquore che aveva bevuto quella sera del fattaccio, il suo essere con Eva e quello che gli è proibito e invalicabile. La rivoluzione della luna, quale titolo migliore per rappresentare la metamorfosi di Elide? L’età verde, e acerba, minimo comune denominatore di tutte le esistenze in ogni stadio: perché si è sempre un po’ immaturi e impreparati, in uno o più aspetti della propria vita; qualcuno è solo più bravo a nasconderlo e camuffarlo. Maschio bianco etero, chi come quel personaggio di Niven aveva il cuore più ammaccato, tra Davide e Michelangelo? Il fotografo, mestiere d’arte: chi se non lui? Raccontare, scrivere, inventare è come fotografare, molto spesso.

In questo momento della storia dell’umanità, sul pianeta Terra, ogni essere umano è bloccato nella propria esistenza, sospeso tra conti che non tornano, preoccupazioni, disperazioni, solitudini. Il confinamento è declinato nelle diverse lingue del mondo. Babilonia crolla sulle spalle di tutti gli uomini, anche se non tutte le spalle sono uguali. Le solitudini di Hopper, dove i soggetti restano immobili trasmettendo l’impressione di un’intenzione di muoversi da un momento all’altro, sono la rappresentazione dell’autocensura di ognuno di fronte all’impossibilità di agire come si vorrebbe. Passeggeri notturni, tra il web, i canali di comunicazione affollati eppure vuoti di significato pregnante e le parole non dette sui vagoni delle assenze: sono tutti gli insonni del globo, tra le diverse latitudini e longitudini, ma anche i bambini sfruttati, le madri e i padri sul bordo del collasso affettivo ed economico; sono tutti quelli che dormono e nei loro sogni chissà che racconti fantasiosi di evasione muove il l’inconscio. Come sempre, Alberto parte da un punto infinitesimo per attraversare galassie. Torna alla realtà mettendo mani ai fumetti di Dylan Dog, gli ultimi rimasti a passargli tra le mani. Li legge, si sofferma un attimo, prova a immaginare cosa stanno combinando i suoi amici. Sono trascorsi solo venti minuti del nuovo giorno. Venti: il numero, venti: come i venti dei cambiamenti. A strappargli un sorriso amaro sono i titoli dei Dylan Dog: rappresentano al meglio i suoi amici, la notte in corso e quella del fattaccio pure.Belli da morire, Dopo mezzanotte, Apocalisse, Ultima fermata: incubo. Ma forse l’incubo era soltanto suo. Nessun altro poteva provare lo stesso terrore al pensiero di dover farsi rivedere.

Intanto Bob Sinclair torna dopo anni a cantare con Sophie Ellis Bextor la colonna sonora dello spogliarello più impensabile della storia.

DA SAPERE

Il racconto di Carolina e della sua notte segreta è tratto dal mio secondo romanzo, “Piccoli silenzi desiderabili” (©2014). Per questo racconto è stato riadattato.

Il racconto di Cervo riportato qui, insieme alla parte narrata nella puntata precedente, fanno parte del racconto originale “Rougenoir”, di cui restano inedite molte parti.

In questo racconto ci sono due personaggi nuovi: Romy, mai apparsa su “Piccoli silenzi desiderabili” né in altri racconti pubblicati o spin-off ed Elide. Elide ed Eva sono, in realtà, le due protagoniste di quello che dovrebbe essere il terzo romanzo, se solo mi mettessi seriamente a lavorarci per rifinirlo e presentarlo a potenziali editori. Scritto interamente, merita pochi passaggi di integrazione, ma rimando ormai da sette anni.

NOTA A MARGINE

I titoli citati in questo episodio, ossia i titoli che ALberto deve sistemare nella libreria del suo studio, sono di libri che esistono davvero.

Il processo creativo è un processo dinamico, che si crea e disvela come un puzzle agli occhi dello stesso autore, in questo caso ai miei occhi. Alcuni personaggi hanno qualcosa di ispirato proprio dalle parole sul dorso e le poesie dorsali sono state per lungo tempo un mio divertimento, quando lavoravo come responsabile tecnica in una libreria Mondadori. Ho sempre lavorato a scuola, ma ho svolto molti altri lavori, contemporaneamente. Poiché mi si chiede spesso consigli di lettura, ecco che vi suggerisco i seguenti titoli per davvero:

Niven, Maschio bianco etero

Carofiglio, La regola dell’equilibrio

Caprarica, Ci vorrebbe una Thatcher

McEwan, Sabato

Mishima, L’età verde

Messina, Il mirto e la rosa

Camilleri, La rivoluzione della rosa

Calvino, Lezioni americane

Schiavulli, Guerra e guerra

Carofiglio, Passeggeri notturni

Scimè, Il fotografo – Mestiere d’arte

Hopper e Manara li scoprite tramite il web o in una libreria, dovete solo scegliere i titoli delle monografie o delle opere.

Sono tutti libri presi da una mia libreria per realizzare la foto che vedete su, così come la raccolta cd di Sinatra, le cuffie e il casco da bikers.

Mi sono divertita molto a rispolverare libri, sgomberare le seconde file per vedere quelli parcheggiati dietro, cercare tra i titoli qualcosa che appartenesse a questo gruppo di personaggi inventati e farmi suggestionare da altri. L’ispirazione è un’aura che ti avvolge, a volte, come un mistero da decifrare.

Le Mollesche sono ispirate da bambine in carne e ossa con cui gioco davvero. Il nome Romy è stato scelto da un’altra persona che non sono io. Elide era bella, bellissima, aveva persino il nome da principessa, ma ora non esiste più il suo sorriso. Ho però fatto una promessa: farla sorridere di più e meglio.

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Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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