Ciao, Uomo di Tiresia

Da questo post, l’articolo giornalistico ANDREA CAMILLERI, Ciao Uomo di Tiresia, a cura di Luana Lamparelli, per il Progresso Magazine


Lo scrittore Andrea Camilleri.

Arriva forte come un proiettile e rimbalza da parte a parte la notizia: Andrea Camilleri ci ha lasciati.

Ci ha lasciati l’uomo, ci ha lasciati lo scrittore.

La sua vita ha tanto da insegnarci: la tenacia e il coraggio soprattutto, insieme al non arrendersi, anzi: arrabbiarsi e mescolare quella rabbia alla propria passione. Forse nasce così la determinazione, quella che segna l’obiettivo e manda tutti al diavolo.

Chissà come si sono sentiti i dieci editori che hanno scartato il suo primo romanzo, Il corso delle cose, quando hanno visto letteralmente volare Camilleri sulle loro teste, anni dopo e lavori acclamati dal pubblico su ogni fronte. “È il corso delle cose” direbbe forse oggi con la sua ironia, anche in merito alla sua scomparsa, lui che era felice di vivere e non temeva la morte.

Il suo primo romanzo nasceva per una promessa fatta a suo padre: quella di scrivere la storia che Andrea aveva inventato per lui accudendolo in ospedale prima che morisse. Fu proprio suo padre a dirgli di scriverla così come l’aveva raccontata a lui, con quelle espressioni dialettali che colorivano e intensificavano la narrazione, la rendevano più vera, più verista. Come Pirandello, anche Camilleri è sempre stato abile nel passare dal verismo del suo tempo all’umorismo, e viceversa. Una storia, quella narrata nel primo romanzo, nata parallelamente alla vita reale. La vita di uno scrittore è così: procede in parallelo su due, tre o più binari, portandolo in diverse dimensioni, e non sempre quella sua privata e personale viaggia sugli stessi stati d’animo narrati. I personaggi hanno una vita propria, a un certo punto, e tu – volente o nolente – devi seguirli, assecondarli, stargli dietro. Non puoi fare altrimenti. Così come lo stesso Camilleri racconta ne I racconti di Nenè:

Fin quando un personaggio non è in grado di alzarsi dalla pagina e cominciare a camminarmi per la stanza, quel personaggio, secondo me, ancora non è risolto”.

da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli

Molti elementi mi fanno quasi dialogare con Camilleri, attraverso le sue opere e la sua biografia, secondo la logica fantasiosa e immaginifica che è la potenzialità creativa dell’opera d’arte (come ci insegna la poesia), quella che ci consente di immaginare dialoghi con gli autori e, intanto, di ricreare l’opera d’arte stessa. Perchè, diciamolo, Camilleri è stato un’opera d’arte in carne e ossa, e sigarette e coppola.

Su tutti gli elementi biografici, emerge presuntuosa Alice nel paese delle meraviglie: è leggendogli e narrandogli di Alice che sua nonna materna ha saputo fascinare e avvicinare inesorabilmente Camilleri bambino alla letteratura, aprendogli quel mondo fantastico che sa diventare concreto nell’immaginazione e sulla carta, intorno a noi. Alice, quella storia a me tanto cara per tutti gli elementi matematici (e non) nascosti nell’opera da Carroll, tanto da intersecare e accompagnare il mio primo romanzo, Giardini senza tempo.

A Camilleri è andata un po’ meglio: se sua nonna lo affascinava con Alice, mio nonno materno raccontava sovente del Conte di Montecristo, che conosceva benissimo, e delle opere liriche che amava, oltre che dell’azienda agricola che possedeva in Africa, prima che fosse costretto al rimpatrio dalla Seconda guerra mondiale.

Purtroppo non potrò mai vantare di essere stata inserita, come lui, in una antologia di poesie scelte da Ungaretti, ma è bello sapere che emozioni da lui provate possono diventare, in qualche modo, anche le nostre. Così come è bello leggere e scoprire i diversi passaggi epocali che hanno segnato la sua vita, oltre che la sua carriera di scrittore: sono i momenti in cui ha conosciuto grandi nomi del panorama culturale e intellettuale italiano, da Pirandello a Sciascia, a De Filippo a Rascel, con aneddoti che sono, probabilmente, il più bel romanzo che Camilleri abbia potuto vivere: la propria vita.

– Nonna, di là c’è un Ammiraglio che dice che si chiama Luigi Pirandello.

– Oh Madre Santa – esclama mia nonna

da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli

da una pagiina de I racconti di Nenè di Andrea Camilleri, Feltrinelli Editore

da una pagiina de I racconti di Nenè di Andrea Camilleri, Feltrinelli Editore

L’incontro con Sciascia è stato decisivo per l’avvio della sua collaborazione con la storica casa editrice Sellerio, come lo stesso autore ci racconta. Il Leonardo del seguente stralcio è proprio lui, Sciascia:

da una pagiina de I racconti di Nenè di Andrea Camilleri, Feltrinelli Editore

Angelica Balabanoff, una delle maggiori rivoluzionarie del socialismo italiano, da Camilleri casualmente incontrata al tavolino di un bar, dove lei stessa gli chiede se possa accomodarsi in sua compagnia, mi riporta a un gentiluomo anarchico, mio amico, che dialoga con Greta, con il nipote di Karl Popper, che purtroppo non ha ancora incrociato Carola Rackete, ma che può raccontare con onestà intellettuale dei suoi dialoghi con altre figure importanti del nostro tempo, e che mi fa vedere il mondo con occhi e idee mie. E poi la musica, il jazz che ha abitato tante volte la mia casa, le amicizie storiche e gli incroci casuali e causali. La mia amicizia con intellettuali di sinistra, queste menti meravigliose e ricche di cultura, a differenza della destra italiana attuale che mi ha profondamente delusa con la sua imprenditorialità sterile e fine a se stessa, il più delle volte. Ma tanto voglio diventare politicamente atea.

Sono tanti i nomi e i vissuti che possiamo incrociare leggendo i Racconti di Nenè: tutti raccontano la storia della cultura del nostro Paese. Ed è bello pensare che, con la stessa naturalezza con cui certi incontri sono accaduti a Camilleri, possa accadere anche a noi che certe amicizie intellettuali segnino un’epoca, noi che stiamo nella storia dell’Italia attuale.

Un altro libro di Camilleri a cui sono particolarmente legata è La rivoluzione della luna. Lo trovai al mio ritorno a Milano dopo le festività natalizie trascorse in Puglia. L’appartamento era vuoto, solo il libro mi attendeva sul comodino della mia nuova stanza da letto. L’aveva lasciato lì per me il suo proprietario precedente. Lo presi come un segno, lo accolsi come la promessa di cose sconosciute che sarebbero venute a cercarmi e che avevano il diritto di trovarmi pronta ad accoglierle. Una rivoluzione, appunto.

Quante cose mi fanno sentire la mancanza di questo scrittore che è un nonno e un vate per tutti noi?

Torno con la mente a un pomeriggio estivo di sei anni fa.

Una mia amica di lunga data e io, a casa sua, prendiamo un caffè, parliamo, ridiamo. Mi chiede come procedano i miei lavori di scrittura, a quel punto le dico che finalmente un nome per la nuova protagonista che mi piaccia davvero c’è, l’ho trovato: si chiamerà definitivamente Eva. A quel punto lei sorride e si allontana. Torna dopo poco con un libro in mano. “Anche Camilleri ha scelto quel nome per raccontare di vicende bizzarre e fuori dalle righe”, mi dice, porgendomi il libro. La Pensione Eva leggo in copertina. Eva, la mia Eva, da allora ha fatto comparsa in diversi racconti fino a oggi, qualcuno la conosce già, ed esiste in diversi progetti che a breve troveranno spazio, ma sempre mi riconduce a Camilleri.

In una serata estiva dello scorso anno, poi, dopo una giornata di mare, girando per alcune bancarelle di libri usati, mi sono ritrovata tra le mani un’altro libro: Pinocchio (mal) visto dal gatto e la volpe, scritto a quattro mani da Andrea Camilleri e Ugo Gregoretti. Per scherzo e ironia, decisi di acquistarlo e regalarlo a mia madre, lei che è sempre critica nei confronti del mio stile di vita e di scrittura, lei che legge solo biografie e libri di storia e politica. Solo oggi mi ha dichiarato: “L’ho letto tutto d’un fiato in un pomeriggio. Con questo articolo sei stata brava, finalmente”. (Mi critica tutto, sorrido e rifletto.)

Di Camilleri amo quello che ci dona sull’amore e sulla sua esperienza di esso. In particolare quando afferma:

Ora, io certe volte devo confessare che forse, non per il mio mestiere di scrittore, non perchè devo raccogliere il materiale (il materiale non si raccoglie), rimango affascinato da persone mai viste prima, che incontro in autobus, in tram, al mercato, in tabaccheria, per come si muovono, per quello che dicono.

Sono attimi che nascondono la prismatica realtà dell’uomo, così diversa. È questo che costituisce il fascino, quello vero, quello della conoscenza dell’uomo.

da Andrea Camilleri, I racconti di Nenè, raccolti da Francesco Anzalone e Giorgio Santelli, Feltrinelli

L’importanza che ha Camilleri, oggi come ieri e per sempre, con una prepotenza gentile e sapiente, non è legata solo al nostro panorama culturale, ma anche e soprattutto al nostro orizzonte sociologico e pedagogico, quell’orizzonte che dobbiamo ampliare sempre più in questo periodo storico contingente, periodo di crisi etica che viviamo e percorriamo. Richiama, questo novantatreenne, il filosofo Lévinas, il cui impianto teorico filosofico si fonda sull’apertura all’Altro e sull’importanza di riconoscere l’Altro, riconoscerci in esso. “L’altro è apertura verso l’Infinito”, asseriva Lévinas. “Non bisogna mai avere paura dell’altro, perchè tu rispetto all’altro sei l’altro”, afferma Camilleri con lucidità, fermezza e apertura di veduta. A dispetto della sua cecità senile, quella che gli ha fatto scoprire altri modi di percepire la realtà e stare al mondo, quei modi che ho sempre respirato nel mio percorso di educatrice per non vedenti.

Forse la poesia più delicata che Camilleri ci abbia lasciato è questa sua frase, leggera come una carezza e una lacrima:

Non vedo più, ma sogno.

Andrea Camilleri

La verità è che scrivere è sognare e vivere insieme; che ad occhi chiusi si percepisce il sentire senza le sovrastrutture del male o del dolore; che la bruttezza e la cattiveria hanno una eco ben peggiore che ad occhi aperti, lontano dal cinismo e dal tram tram del quotidiano.

Non a caso, è Tiresia che sceglie come pretesto letterario per il suo ultimo discorso solitario e profondo, nella sua ultima opera letteraria e teatrale, Conversazione su Tiresia. Tiresia: l’indovino cieco dell’Odissea, che ha vissuto sia l’essere donna sia l’essere uomo, diviene specchio di sè stesso per interrogarsi, parlare di sè attraverso la vita vissuta e la storia attraversata, meditando sul tempo, sulla memoria, sulla cecità, sul viaggio, sinonimi dell’invenzione letteraria, anzi sue matrici.


“Chiamatemi Tiresia, sono qui per raccontarvi una storia più che secolare che ha avuto una tale quantità di trasformazioni da indurmi a voler mettere un punto fermo a questa interminabile deriva. A Siracusa vi dirò la mia versione dei fatti, e la metterò a confronto con quello che di me hanno scritto poeti, filosofi e letterati. Voglio sgombrare una volta per tutte il campo da menzogne, illazioni, fantasie e congetture, ristabilendo i termini esatti della verità.”

da Andrea Camilleri, Conversazione su Tiresia, Sellerio Editore

Dopo una notte insonne, nel bel mezzo degli studi, sospendo tutto e corro a sfogliare i libri che più mi legano a questa figura divenuta per noi italiani mitologica.

Che il nostro dialogo con te possa essere eterno, divino e umano insieme.

Ciao, Uomo di Tiresia.

Luana Lamparelli

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Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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