Editoriale Novembre 2019
Colonna sonora:
Frank Sinatra, Send in the clowns
Quando ero una bambina, non avrei mai pensato di scrivere poesie, nè avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovata seduta accanto a voci autorevoli “del settore”, o a chiacchierare prima dal vivo poi per telefono col maggior poeta vivente: Magrelli, o a confrontarmi con i maggiori esponenti nazionali.
Così come non avrei mai immaginato di sentirmi chiedere da un grande uomo di cultura che lavora in un mondo di regole e disciplina, diplomazia e strategia, durante una telefonata: “Allora, raccontami di sabato. Com’è andato l’evento?”
Nel rispondergli, ho parlato a lungo, ho raccontato, contrariamente a quel che faccio di solito, ma soprattutto mi sono sorpresa quando, a chiusura del mio discorso, ho pronunciato questa considerazione del tutto personale: “La poesia vive ai margini”.
In che senso, in che modo?
Facciamo un passo indietro. Come è andato l’evento di poesia di sabato è una domanda che mi hanno rivolto in molti. Si riferisce all’evento del progetto Poesia Portale Sud, di cui si è tenuta una tappa a Bari, presso la libreria Millelibri, lo scorso sabato 19 Ottobre. Bene, è andato bene è la mia risposta serafica e vera. Ma… esiste un ma.
Un ma che mi riconduce a molte riflessioni sulla poesia e su quello che le gira intorno.
Credo che la poesia sia troppo grande per essere definita una volta per tutte, per essere inserita in schemi di riferimento, canoni estetici: diciamoci la verità, la poesia supera la metrica, oltrepassa rime e assonanze, bypassa figure retoriche e linguaggi.
Credo, personalmente credo, che la poesia non esista nemmeno tra versi e parole che i poeti (veri o presunti tali) cercano di mettere fila, non nella sequela di strofe o nelle stanze dei poemi.
Credo, fortemente credo, che la poesia esista nella vita quotidiana, nel
fragore delle strade che percorriamo e attraversiamo, nella distrazione con cui voltiamo il capo, nella ripetizione di azioni sempre uguali che scandiscono le giornate per necessità. Esiste lì, qui, come un bagliore improvviso e fulmineo, non preventivabile, non calcolabile, non prevedibile e forse nemmeno auspicabile.
Come quando lavi i piatti: un ricordo ti sfiora improvviso, distrae i pensieri, ti porta altrove, ti strappa la commozione di un sorriso. Poco importa che sia nostalgico o incerto: quel sorriso è un attimo eterno ed egoista, solo tuo. Lì la poesia respira.
Come quando sei in treno: fuori dal finestrino, sulla banchina, due adolescenti si baciano, due adulti si tengono stretti a occhi chiusi dentro un abbraccio che è un’altra dimensione; sul tuo vagone d’improvviso sale un giovane uomo, cammina svelto tra i sedili scrutando tra i passeggeri, poi si volta e scopre di averla superata per la troppa fretta di trovarla e lei è lì, la giovane donna che cercava forsennatamente, dall’altra parte del vagone, quella da cui lui è salito, lei gli sorride, sono occhi negli occhi, lui le si avvicina, “Vieni, scendi con me, prendiamo il prossimo treno” le dice con la gioia negli occhi, perché lei lo segue, l’ha convinta, e sono ora due adolescenti per una magia improvvisa; a tratti nel corridoio un bambino corre tra i posti a sedere, ti si ferma davanti, ti spalanca un sorriso, una risata d’innocenza, e d’un tratto quel sedile d’un treno che avanza a ritmo ferreo diventa improvvisamente il posto migliore del mondo, qualcosa riluce, forse è la speranza che non tutto è perduto, che qualcosa si salverà sempre un po’ di più. Lì la poesia cammina.
Come quando pedali su una strada che si srotola tra le campagne e lì, a margine, sfiorando e sfidando l’asfalto, ci sono papaveri, fiori spontanei ed erbe selvatiche a contrasto coi campi rigorosi, ordinati, domati, parentesi di qualcosa che sempre sa ribellarsi col dono della bellezza, sfiorando l’impervio, sfidando le avversità che certamente scorrono e sempre correranno lì a un palmo da loro, o su di loro. Lì la poesia non s’arresta.
La poesia vive ai margini, parentesi di sospensione e sogno, eppure nonostante questo non è fatta per gli eventi letterari, le letture in pubblico o le declamazioni prive della phonè e del pathos. La poesia ha bisogno di coraggio e passione, tempi distesi e attese e riprese, virtù sempre più rare in questo mondo di stereotipi e clichè.
Ha bisogno del respiro ampio, dello spazio stretto tra quattro pareti, dell’intimità sconfinata del proprio silenzio, lì dove mille parole brillano, e sono molto di più della successione ordinata e logica di lettere in sequenza.
Oppure è fatta, anzi: al tempo stesso è fatta per essere vissuta e annusata, o annaspata, in una notte tra amici brilli, dopo una cena conviviale, tra il vino che incalza, i calici che girano, le riflessioni e le risate dissacranti che si alternano. Introspezione con quante parole fa rima? Accettazione, comprensione, mediazione, e anche condivisione. In qualche modo, introspezione va a braccetto con la consapevolezza e la conoscenza del mondo, dei suoi gesti gentili e della sua crudeltà anche, della sua tenerezza e dei momenti mancati. Non c’è poesia senza ironia, io pure credo. Un granello di sale serve sempre – un grain de sel, dicono i francesi. E quanto è fondamentale, questo ingrediente piccolo!
Negli eventi letterari spesso mancano tanto la phoné quanto il pathos: le emozioni li rallentano, li distorcono, li inibiscono nel loro nascere ed emergere durante la lettura in pubblico. Spesso ho sentito bellissimi versi letti così male da risultare rovinati. Al pubblico cosa arriva, in questi casi? Me lo chiedo e trovo una risposta mettendomi seduta tra i lettori presenti. Arriva una sequenza di parole che possono probabilmente far sfilare nella mente degli ascoltatori immagini, ma che sicuramente non smuovono corde e sensazioni. Ci vuole un brivido per provocarne un altro, una vertigine per sporgere su un’altra.
Molto spesso, durante i reading di poesia, noi autori lo dimentichiamo, o non riusciamo a farlo. Sentirsi troppo esposti, troppo nudi davanti a gente che non conosciamo è facile, quando si interpretano le proprie poesie. Allora, magari, ci illudiamo di coprirci o svelarci meno con la fretta di parole lette in fila tutte d’un fiato. Così sbagliamo tutto, perché la poesia vive in una stanza segreta ai margini del quotidiano, dell’affaccendarsi, dell’interrogarsi: bisogna ogni volta respirare a un ritmo diverso per entrare in quella stanza, così come bisogna portare il respiro altrui in risonanza col nostro, se lo si vuol prendere per mano e condurre lì con noi.
Non sono contraria agli eventi di poesia, perché io stessa resto ammaliata e rapita quando qualcuno sa leggerla davvero e con un soffio riesce a toccarti corde remote e tese che per un attimo vibrano di piacere, senza che nemmeno lo sappia o se ne accorga. Quello è il piacere di scoprire di non essere soli, che poi è lo stesso che si vive quando si legge poesia per sé in un treno, alla fermata dell’autobus, in una sala d’attesa, nella propria casa.
Leggendo la poesia, noi scopriamo di non essere soli, ridimensioniamo quel senso di unicità e irripetibilità che ci connota, lo gestiamo, lo relativizziamo non per sentirci minori degli altri, ma esseri umani uguali agli altri. In quanto tali, scopriamo o riceviamo nuova conferma del fatto che sopravviveremo a quel dolore, che vivremo nonostante esso. Se poi impariamo a sorriderne, impareremo l’arte di superarlo. Crescere, scoprire di essere cambiati in qualcosa, anche questo è poesia. Come una carezza che la vita ci rende, la poesia ci incoraggia e ci riconduce a noi stessi, alla nostra capacità di provare emozioni, di essere vivi nel petto.
Perché la poesia si scrive quando si soffre, in qualche modo o in qualche misura, ma va letta per sdrammatizzare le avventure dell’animo umano. Che sono sempre percorsi in solitaria su tragitti condivisi.
Per questo dovremmo imparare a usare la phonè, noi scrittori, e a metterci dentro tutto il pathos con cui scriviamo e viviamo.
Luana Lamparelli
DIETRO LE QUINTE
Ho scritto la prima bozza di questo editoriale in sala docenti, dopo il mio orario di servizio. Dopo tanto tempo, ho scritto a mano.
Sedevo al grande tavolo centrale, cuffiette nelle orecchie e le canzoni che vi ho segnalato sopra ad accompagnarmi.
A un tratto sono entrati degli studenti per lo spoglio delle votazioni per i rappresentanti di istituto e si sono meravigliati nel vedere una docente così, a scrivere come magari avrebbero fatto loro.
UN CONSIGLIO
Una volta, nella casa bellissima che ho vissuto più di tutte, ho organizzato una serata per un San Valentino special edition for singles: tutti gli invitati miei ospiti, uomini e donne, rigorosamente, su mia pretesa, hanno dovuto portare una poesia sull’amore per celebrarlo e un brano di prosa per dissacrarlo, e ridere tutti insieme. Abbiamo accompagnato il tutto con brani musicali scelti al momento, buon vino e fingerfood. Dovreste farlo anche voi, potreste tranquillamente rubarmi l’idea.
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