(Chiamo Houston, devo dirgli di questa giornata. Risponde al mio SOS, iniziamo a parlare, sul mio cellulare arrivano messaggi whatsapp, intanto io ho messo un sottofondo adatto, una canzone che in questi giorni gira tanto tra i miei contatti su Facebook e che mi riporta a quattro anni fa. Anzi cinque. Sentitela anche voi mentre leggete, vi basta cliccare qui OCCHI DA ORIENTALE . Forse non sarà la sola.)
– Cos’è questo chiasso, Luana?
– Occhi da orientale. Live. Non ti piace? Io l’ho scoperta durante un tragitto in auto con il mio collega. Primavera 2011. Alla fine gli ho fregato il cd, live anche quello. Lui lo sa, tranquillo. Ero innamorata folle di un tipo. Gente di mare, non ti fidare: dicono così, e c’hanno ragione! …vabbé, storia vecchia e superata.
– D’amore non si muore.
– Per amore ho imparato a girare in fretta la pagina. Si sa che il racconto diventa sempre più intrigante man mano che si avanza nella lettura.
– Non sempre.
– Non è questo il caso. E poi ci sono così tanti momenti di suspense! (Silenzio) Comunque mi riferivo al racconto della mia vita, non dei miei amori – disamori, meglio.
– E oggi?
– Oggi? ‘na meraviglia!
Inizio a raccontare e ripercorro tutto, fotogrammi precisi tra sorrisi e memoria.
Stamattina. Caffè e biscotti sul tavolo, whatsapp che richiama l’attenzione.
“Meh e la colazione?” – leggo e sorrido.
Quanti chilometri ci separano?, rifletto e realizzo che la distanza non è fatta di numeri, di chilometri, di date, ma soltanto di due avverbi: lontano e vicino.
Il ritrovarsi l’annienta. I sorrisi fatti al di là degli schermi di cellulari che s’illuminano in contemporanea a suonerie di ultima generazione non li vedremo, ma non è difficile immaginarli. E così ce lo diciamo che vorremmo star lì a farla insieme quella colazione, e magari regalarci anche la mezza giornata, o di più, ma non si può. Quante cose abbiamo lasciato in sospeso? Il mare, le domeniche in barca, le mangiate a base di pesce. Forse qualche discorso più sensato del solito, o le vecchie chiacchierate col greco che io ignoro e lui conosce bene. O le diatribe. Le arringhe. E le acciughe. Forse potrebbe consolarci il fatto che ci pensiamo, ci cerchiamo, ci troviamo nel pensare che sì, sarebbe stato bello, a dispetto di tutti quelli che fanno le stesse azioni insieme, gomito a gomito, ma non con la stessa lunghezza d’onda. Mi torna in mente una frase precisa che spiega benissimo questo concetto: “Noi dormiamo nello stesso letto ma facciamo sogni diversi”, canta nella mia testa Brunori SAS mentre parlo (la canzone che contiene la citazione è COME NEVE)
Pulisco il bagno, lavo i piatti, faccio la doccia, lo shampoo, il vestirsi, il truccarsi, il correr fuori, i mezzi pubblici (quanto mi manca guidare!), un giro tra i social nel tragitto a singhiozzi, ed eccola lì, postata anche oggi, la prima canzone della colonna sonora che ci accompagna.
Poi è di nuovo cielo e luce.
I fiori, i profumi, i colori, la gente a passeggio sotto un sole perfetto, ma quanti siamo?, troppi, allucinante, l’amica trovata all’angolo di Super Gulp, la collega che arriva. Penso che Antonio ieri sera ha tenuto un concerto all’Arci Bellezza, forse è ancora qui, gli mando un messaggio.
“Ciao Lu”, e niente, sta già ripartendo. Sarà per la prossima, ce lo diciamo da Novembre. Quando ci sono io non c’è lui, e viceversa. E’ Primavera, “una rondine un campanile” anche qui, come quando ero bambina e le vedevo stridere nel cielo, cadevano a terra sull’asfalto grigio di civiltà, le vecchie correvano in strada a raccoglierle e le lanciavano in aria sperando che riuscissero a riprendere il volo. E “un bambino che corre, semplicemente arriva qualcosa che prima non c’era, come una guerra torna la Primavera”. Anche qui, il cielo è lo stesso, io sono la stessa. Nonostante i cambiamenti. (Antonio Dimartino, COME UNA GUERRA LA PRIMAVERA)
Poi i tarantini. I miei nuovi amici tarantini.
Una barese adottata dai tarantini sembra più una barzelletta o un profondo gesto di solidarietà? Li adoro.
Le camminate chilometriche, la cellulite sarà di meno a fine giornata? Tanto c’è la cioccolata Venchi a casa. Il parco, l’erba, le risate, le chiacchierate da femmine, roba che abbiamo trent’anni ma sembriamo lettrici accanite del Cioè. Le regressioni sono il miglior stratagemma per ringiovanire!
Però arriva anche una considerazione degna di nota, nel mio parlare rimbambito. “Siete amici ora?” mi chiedono con sorpresa. “Certo. Tu le persone belle non te le tieni, nella vita tua?”, ho risposto senza esitare. E penso a Bollani, a De Crescenzo, al basket, a Trani. Alle risate, ai dialoghi sofisticati e pure a certi pianti. Ma si ride sempre, dopo tutte le tempeste (Bollani è top, qui fa la parodia a Capossela e a Vasco Rossi).
Poi daccapo la strada a piedi. Casa. S’è fatta sera. Vado a fare la spesa, il cielo è blu.
Nel tragitto chiamo i miei cugini più piccoli. Diciassette e quattordici anni. Quanto mi manca la loro mamma. Quanto mancherà a loro senza che ne parlino? Penso a chi si lamenta per le attese e il cuore appeso, sui social e nella vita reale, riempiendo di piagnistei. Andate a farvi fottere, voi e la vostra voglia di esibizionismo, ‘ché il dolore vero non ha parole per mostrarsi, né cerca compiacimento. Banali. Banali e patetici. Chi aspettate che arrivi? Chi non vi ama?
“Soffri per amore? L’amore non fa soffrire. Quello non è amore”, mi diceva un mio collega quando lavoravo in un’azienda. Si soffre per amore solo quando chi ci ha amati e amiamo non può più tornare. Per quelli o quelle che non vogliono stare con noi si soffre il tempo necessario a prenderne consapevolezza e metabolizzare, poi si gira pagina.
Ho sollevato daccapo lo sguardo, la borsa della spesa ormai piena, camminando sotto il pezzo di cielo estraneo che mi osserva da qualche mese a questa parte. Le stagioni si sono susseguite: l’autunno, l’inverno, la primavera. L’estate è fatta per tornare a casa, il mare è troppo profondo per restare solo in superficie. Parte un’altra citazione nella mia testa: “Tieni stretto il meglio di me, forse non ti sembra moltissimo, stare in superficie è sbagliato, ma a volte lì puoi anche prender fiato”. (Malika Ayane, LENTISSIMO)
E nel cielo brillano delle luci, seguono una traiettoria precisa: un aereo. Torno ai miei ventiquattro anni. Io e il mio migliore amico andavamo in auto fino a Palese, alla sera, in alcune giornate che sapevano di finestre spalancate fino a tardi e televisori che trasmettevano partite strane di coppie in rotta di collisione. Parcheggiavamo lì, dove meglio si vedeva il decollo. Forse volevamo guardare il decollo delle nostre vite, non avendo ancora il coraggio giusto per agirlo. Passavano le ore, forse due, forse tre, facevamo marcia indietro. Andavamo allora nel “campo di fragole”, che era un campo da tennis nella zona alta del nostro paese, quella dove ho sempre abitato. Stavamo anche lì parecchio tempo. Avevamo un sacco da dirci. Ora un po’ meno. Siamo cresciuti troppo. Probabilmente perché ora, al posto di quel campo da tennis, c’è un parcheggio. Inutilizzato.
Casa, cucinare, mangiare. Parlare. Con un’amica toscana tutta nuova che non vuole io vada via, e allora mi chiede di lasciare una valigia a casa sua. “Le case sono fatte delle persone che ci abitano”, le ho detto per sottolineare che le case sono belle se lo sono le persone che le vivono. Belle come lei. Lascerò un po’ della mia roba in questa città che non pensavo mi sarebbe piaciuta così tanto, benché l’abbia cercata io stessa. La lascerò a lei perché le persone autentiche meritano sempre il nostro tempo e noi una possibilità per rivederle. Non una scusa, ma una possibilità a dispetto dei contrattempi, degli imprevisti, del rimandare a oltranza, della frenesia. (Parlare) Con un amico leccese che è grande confidente e complice, basta poco perché chi è genuino si ritrovi nello sguardo dell’altro, non è questione di tempo: è questione di carattere e personalità.
– Allora, Lulù, niente problemi oggi? Mi sembra tutto sotto controllo – mi chiede Houston con fare soddisfatto.
– Solo perchè non ti ho detto dei miei risvegli con l’ansia sdraiata affianco. Ma sai cosa? Ci sono così tante cose belle nella mia vita, che è un peccato dare a quell’ansia il lusso di riempire questo nostro spazio. Quando ci rivediamo, ora?
– Quando vuoi, mia cara. Solo una domanda prima dell’arrivederci. Hai un sogno che conservi ancora oggi dopo tanto tempo e che non hai nemmeno provato a realizzare?
– Certo.
– Qual è?
– Far volare un aquilone su una spiaggia deserta, in principio d’autunno, con i piedi scalzi nella sabbia ruvida e le sciarpe leggere attorno al collo.
– E cosa aspetti?
– La persona giusta.
– Non si sta facendo tardi?
– Per tornare bambini non è mai troppo tardi, mio caro. Decolliamo?
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