LINGUAGGIO PUBBLICO E DEMOCRAZIA – Intervista a Gianrico Carofiglio

In questi giorni sicuramente stiamo leggendo tutti un po’ di più e siamo sempre sintonizzati per restare aggiornati in tempo reale. Mai come prima d’ora, data l’emergenza globale a cui ci inchioda il Coronavirus, il linguaggio di chi ci parla – dai medici ai politici agli scienziati agli esperti – deve essere chiaro, diretto, immediato, per poter avere una comunicazione efficace ed efficiente che raggiunga tutte le fasce della popolazione. Il linguaggio, mai come oggi, deve farsi ed essere democratico.

Questa considerazione mi ha ricordato un confronto avuto con lo scrittore Gianrico Carofiglio su un suo saggio, “Con parole precise” (Laterza, 2015) e l’intervista che ho curato per un giornale.

La ripropongo, per la prima volta in versione integrale.

Chissà, magari vi ricorda di avere un libro dell’autore che aspetta ancora, in un angolo di casa, di essere letto.

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ASTEROIDE CENTOCINQUANTADUE

Pensare al futuro, oggi. Vivere seminando per il futuro, oggi.

Abbiamo domande, paure, distanze da colmare e attese dilatate. Tutto scorre in un tempo impreciso, più che imperfetto.

Ho scritto “Asteroide Centocinquantadue” nel 2017, per un’opera collettiva sul tema del “futuro” mai pubblicata. In questi giorni difficili ho deciso di regalarlo pubblicandolo qui per la prima volta.

Ho preso questa decisione confrontandomi con l’art director Alessandro Pession. La fotografia che accompagna questo racconto è sua, scattata appositamente in questi giorni.

Questi giorni che sono di vicinanze sentite e distanze spazio-temporali: in questo siamo tutti uguali, tutti uniti.

Buona lettura.

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Complicazioni

Podcast – Luana legge Complicazioni, da Rivelazione di Vitantonio Lillo

Adesso è tutto filtrato, persino i flirt.

Soltanto dieci giorni fa, le nostre giornate erano scandite da altri ritmi, altri tempi, altre velocità; erano intrise di luoghi ampi, di sguardi e volti che s’incrociavano senza nemmeno far caso; erano dense di attese per abbracciarsi, baciarsi, ridere e guardarsi negli occhi per davvero.

I treni, le stazioni, le piazze, gli aeroporti, le strade da percorrere e quelle da conoscere, e ancora i biglietti da obliterare, il libro da ritirare, il pacco da consegnare, la spesa da fare e lo shopping per curare, piegandosi all’imperativo “accumulare, comprare, accumulare”. L’estetista, il parrucchiere, il commercialista, la fila da fare, il caffè al bar per non sbottare, la passeggiata per il corso, la corsa per non perdere la corriera, l’automobile dal meccanico, gli annunci per comprare, gli appuntamenti da fissare: con l’autosalone, il consulente, l’amministratore, l’agenzia immobiliare.

Adesso i luoghi fuori dalle nostre case sono vuoti, svuotati: soltanto la natura e la Primavera li vivono.

Nell’ultimo periodo una bestiolina invisibile ma potente, ancestrale e attuale al tempo stesso, ci sta rendendo un po’ la vita ostica. Insomma, con la sua diffusione, il Covid-19 ha iniziato a restringere i nostri spazi vitali, a segregarci nel nostro io, più che nell’intimità delle nostre case. Nessun io è grande abbastanza, senza gli altri: l’uomo è un animale sociale, insegna la Psicologia.

Avevamo l’abitudine di perderci nel tram tram del quotidiano; adesso è già un sogno.

Voglio continuare a trovare sconosciuti a cui strappare un sorriso, attaccare bottone, voltare le spalle per un’antipatia a pelle. Anche solo chiudendo gli occhi. In viaggio con la fantasia, giungendo anche a voi.

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SOGNO DI VOLARE – Intervista a Beatrice Capozza

Se la guardi dritto negli occhi mentre sorride, non sai dire quanti anni abbia: sembra una bambina che ha vissuto tanto. Occhi che brillano, voce che rivela consapevolezza, fermezza e dolcezza: sono i tratti che connotano tanto la persona quanto la personalità e le opere di Beatrice Capozza, illustratrice e pittrice coratina.

In giorni difficili come questi, in cui siamo aggrediti dalla minaccia del Covid-19, impotenti di fronte alle conseguenze della guerra in Siria per tanti bambini ed esseri umani, incapaci di frenare quello che di negativo accade nel mondo e al nostro pianeta, forse abbiamo bisogno di messaggi semplici e profondi insieme. Per questo ho deciso di parlare di Sogno di volare, il primo silent book di Beatrice Capozza, e intervistarla su questo lavoro e su altre sue opere che possiamo ammirare spaziando tra città pugliesi (Bitonto e Andria) e Riace, il centro calabrese ormai conosciuto ai più. Non solo: con l’intervista, come sempre, ho voluto “incontrare” davvero e far parlare la donna che è, che vive di emozioni e suggestioni, oltre l’artista. Come sempre, l’ultima domanda è di rito: suggerimenti per conoscere altre opere e nomi di altri artisti, tra letteratura, musica e fotografia. Perché, soprattutto in questi giorni così delicati per l’Italia, abbiamo il dovere di nutrire la cultura attraverso la strada più facile e immediata: la curiosità. Stando a casa.

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Raymond Queneau, ZAZIE NEL METRÓ

Il libro era divertentissimo, fu un romanzo di cui parlarono tutti quanti. (…) Appena arrivata a Parigi, Zazie vuole vedere la metropolitana, «il metró, il metró», ma la metropolitana è in sciopero.

Louis Malle, in un’intervista del critico cinematografico Philip French

Se dici Parigi e conosci lo scrittore francese Queneau, non puoi non pensare a Zazie, dieci anni e tutto pepe.

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LA POESIA VIVE AI MARGINI

Editoriale Novembre 2019

Colonna sonora:

Birdy, People help the people

Coldplay, In my place

Frank Sinatra, Send in the clowns

Quando ero una bambina, non avrei mai pensato di scrivere poesie, nè avrei mai immaginato che un giorno mi sarei trovata seduta accanto a voci autorevoli “del settore”, o a chiacchierare prima dal vivo poi per telefono col maggior poeta vivente: Magrelli, o a confrontarmi con i maggiori esponenti nazionali.

Così come non avrei mai immaginato di sentirmi chiedere da un grande uomo di cultura che lavora in un mondo di regole e disciplina, diplomazia e strategia, durante una telefonata: “Allora, raccontami di sabato. Com’è andato l’evento?”

Nel rispondergli, ho parlato a lungo, ho raccontato, contrariamente a quel che faccio di solito, ma soprattutto mi sono sorpresa quando, a chiusura del mio discorso, ho pronunciato questa considerazione del tutto personale: “La poesia vive ai margini”.

In che senso, in che modo?

Facciamo un passo indietro. Come è andato l’evento di poesia di sabato è una domanda che mi hanno rivolto in molti. Si riferisce all’evento del progetto Poesia Portale Sud, di cui si è tenuta una tappa a Bari, presso la libreria Millelibri, lo scorso sabato 19 Ottobre. Bene, è andato bene è la mia risposta serafica e vera. Ma… esiste un ma.

Un ma che mi riconduce a molte riflessioni sulla poesia e su quello che le gira intorno.

Credo che la poesia sia troppo grande per essere definita una volta per tutte, per essere inserita in schemi di riferimento, canoni estetici: diciamoci la verità, la poesia supera la metrica, oltrepassa rime e assonanze, bypassa figure retoriche e linguaggi.

Credo, personalmente credo, che la poesia non esista nemmeno tra versi e parole che i poeti (veri o presunti tali) cercano di mettere fila, non nella sequela di strofe o nelle stanze dei poemi.

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Rougenoir

di Luana Lamparelli

Racconto pubblicato per la prima volta sulla rivista di poesia Versante Ripido, numero di Luglio 2017 per il formato digitale, numero 2 del formato cartaceo.

La giusta colonna sonora per il racconto: Cocoon dei Milky Chancee I can’t wait dei Cocoon.

“Eva, perché niente armadi?”, le ho domandato ieri mattina.

In realtà gliel’ho urlato standomene sdraiato in giardino dove leggevo un libro, mentre lei era al piano superiore della villa, sistemando le camere da letto per i prossimi ospiti, persiane e vetri spalancati.

“Perché gli armadi sanno sempre di chiuso”, mi ha risposto urlando a sua volta da una stanza di sopra. “E le coperte per l’inverno?”, “Se dovessi decidere di venir qui” – e a questo punto è comparsa la sua bella faccia da una finestra, il tono di voce normalizzato – “farei i bagagli portando tutto il necessario. Qui ci sono sempre le stoviglie e l’occorrente per la cucina, e basta. Niente asciugamani, niente coperte, niente di niente”, “E perché?”, “Quante domande: leggi il libro!”, e ha sorriso.

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ZAFÓN , L’OMBRA DEL VENTO

Estate 2017, la Croazia, il mio ritorno a Dubrovnik dopo dieci anni dall’ultima volta. Nella valigia, un libro che occupava i miei scaffali da cinque anni, vivendo diversi traslochi, testimone di una consegna mai avvenuta (anche per i libri esistono i Dietro le quinte).

Una volta letto, non ho avuto dubbi: se l’estate fosse un libro, sarebbe sicuramente L’ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón.

È iniziata così la mia avventura tra le pagine della Barcellona stregata e il Cimitero dei Libri Dimenticati inventato dallo scrittore spagnolo.

Il brontolio lontano di un temporale estivo

Carlos Ruiz Zafón, L’ombra del vento, Oscar Mondadori

C’è un’ombra tetra, scura, inquietante, più simile a un’allucinazione che a una presenza reale. Ci sono ricordi lontani ma ancora vivi nella memoria di qualcuno, passioni incancellabili che pulsano di eco sul suo presente. Proprio come il ricordo di un temporale scoppiato nella bella stagione, che non perde la sua forza, se rievocato con la mente e il cuore di chi ha amato e perso. Tutto questo e molto altro c’è ne L’Ombra del vento.

L’ombra del vento è il primo capitolo della tetralogia del Cimitero dei Libri Dimenticati, ossia il punto di partenza per perdersi in un labirinto di verità e vite diverse che coinvolgono numerosi personaggi e convergono verso un’unica storia di scrittori e libri maledetti.

Con le prime pagine del romanzo, il lettore incontra subito Daniel Sempere, protagonista principale attorno a cui ruotano tutte le vicende e a cui conducono tutte le vite che Zafón farà conoscere al lettore coi capitoli successivi della tetralogia. Daniel ha dieci anni quando inizia a prendere per mano il lettore; ne avrà trentuno quando l’avrà condotto sino all’ultima riga dell’ultima pagina, al termine del primo romanzo che ha portato il suo autore alla fama mondiale. Con l’ultima pagina del primo capitolo di questa incredibile tetralogia, non si arriva a una conclusione, quanto a una dichiarazione che fa da apripista al romanzo successivo, Il Gioco dell’angelo.

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