Ormai parecchio tempo fa, ho letto un libro: era il 2006 e mi è sempre rimasto impresso. Sicuramente per i contenuti, le considerazioni e le informazioni, ma soprattutto per il titolo scelto da chi l’ha scritto: il famoso Premio Nobel per la Medicina del 1986. Che è donna: Rita Levi-Montalcini. Il libro, invece, è Tempo di Revisione, giunto tra le mani dei lettori dopo Tempo di mutamenti (2002) e Tempo d’azione (2004). Parlare di tempo, in questo preciso periodo, è emblematico: siamo all’inizio del nuovo anno, da poco si è chiuso il 2018, inevitabilmente abbiamo fatto – chi più, chi meno – un bilancio di chiusura, e provato a focalizzare obiettivi nuovi per questo 2019. Ho sempre trovato assurdo come un confine tracciato da noi stessi, in maniera del tutto astratta, in quella dimensione che chiamiamo tempo, possa determinare una diversa predisposizione del nostro spirito di fronte all’ignoto: il futuro. Che sembra ampio, ampio almeno per i prossimi dodici mesi, fino al prossimo trentuno dicembre. A tal proposito, nel 2010, scrivevo “Non c’è un inizio, non c’è una fine. C’è un istante, un attimo, in cui varchiamo la soglia di una porta che noi uomini abbiamo immaginato. Che continuamente creiamo”. Ovviamente quella porta è il Capodanno, l’attimo esatto in cui entrambe le lancette sono sull’attenti sul loro fulcro, a segnare la mezza notte, facendoci ritrovare dall’altra parte di quella soglia astrale. In un nuovo inizio.
“Ogni inizio contiene una magia/ che ci protegge e a vivere ci aiuta”, scrive Hermann Hesse nella sua poesia Gradini.
Se penso al tempo, inevitabilmente mi torna in mente il caro ingegnere prestato alla Filosofia: De Crescenzo. “Il tempo è un’emozione”, asserisce in un suo celebre film. Che, guarda caso, s’intitola 32 Dicembre: un giorno che non esiste sui calendari, ma che potremmo tranquillamente aggiungere – se solo volessimo.
Se il tempo fosse davvero solo sostanza di emozioni, allora il tempo sarebbe inevitabilmente composto di parole, piuttosto che ticchettii e lancette. Parole per indicare tutte le emozioni che ci hanno regalato i nostri sogni, ma anche le nostre illusioni; le vittorie, le sfide, i traguardi, e pure le rese. Parole che sono nomi propri di persone, o aggettivi per definire le esperienze. Se fosse così, il tempo vivrebbe non su quadranti, ma in scatole: scatole diverse per ciascuno di noi e gelosamente custodite nella memoria di ciascuno di noi. E allora sì che il tempo di ognuno di noi sarebbe diverso dal tempo di tutti gli altri. E se così fosse, allora anche il tempo diverrebbe emblema e paradigma dell’unicità e irripetibilità di ciascuno di noi. Avremmo ognuno una o più parole con cui chiamare un anno, anziché la serie di numeri. Chissà, forse è per questo che ogni anno, ogni primo Gennaio, stiliamo una lista di buoni propositi (e qui mi torna in mente il mio professore di matematica e fisica del liceo che puntualmente ci ripeteva: “Di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno”).
Quali buoni propositi possiamo proporci per questo nuovo anno? Vorrei suggerire una parola pacifica, che non segni una frattura con tutto quello che c’è stato prima, che invece getti un punto e ci faccia far pace (anche più in là negli anni) coi nostri errori, che ci faccia “ricalcolare il percorso”, che ci dia coraggio per riprogrammare e per superare, per imparare ad andare “oltre” i nostri stessi limiti e che allo stesso modo ci faccia sentire meno in colpa se ci fermiamo un attimo. È semplice, e molto probabilmente ora che la leggerete penserete: “Ma che banale!”. Ebbene, questa parola è “amarsi”.
Amarsi: forma riflessiva del verbo amare, ma anche “forma” reciproca. Amarsi che vuol dire curarsi, accompagnarsi, prendersi per mano, sedersi a tavolino per capire meglio cosa fare per il proprio bene. Amarsi, voce di un verbo che ognuno di noi può coniugare in un modo tutto proprio. Cosa vuol dire amarsi? Vi siete mai soffermati a chiedervi “Come manifesto a me stesso il mio amore? In che modo sono capace di amarmi?”. E sicuramente il nostro modo di amarci oggi non è lo stesso di ieri: perché cambia così come cambiamo noi, in base alle nostre stagioni, ai nostri tempi. E torniamo alla cara parola tempo.
Rita Levi-Montalcini, in ordine cronologico, ha scritto Un universo inquieto (2001), Tempo di mutamenti (2002), Tempo d’azione (2004) e Tempo di revisione (2006). Se pensassimo a quell’universo inquieto come a noi stessi, ciascuno potrebbe ora seguire il proprio percorso di vita attraverso i tre titoli dell’autrice Premio Nobel, scoprendo com’è cambiato nelle scelte, nelle azioni, nei modi di relazionarsi con gli altri, riflettendo su come ha agito nei diversi contesti, nelle diverse situazioni, con le stesse persone o con persone diverse, rivedendo infine tutto, come facendosi un tagliando (e non necessariamente passando per un day hospital o per un chirurgo estetico). E se aggiungessimo una P davanti a “revisione”? Allora forse, oltre a chi siamo oggi, potremmo scoprire chi saremo domani, o chi vogliamo diventare. Magari, in che modo vorremo amarci di più. Che sembra una cosa banale, e invece molti non sanno nemmeno cosa significhi starsi accanto in tutti i momenti, essere presenti e fedeli a se stessi, centrati su se stessi, pronti ascoltarsi per guardare dritto, davanti a sé, con la fiducia negli occhi e il coraggio nel cuore. Amarsi per vivere al meglio ogni momento, in tutto quello che ci capita. In quest’ottica, dovremmo pensare che il tempo sia per il progresso, come le emozioni: che dovrebbero essere sempre più belle, più intense, più autentiche.
Sempre Hesse, sempre in Gradini, scrive: “Dobbiamo attraversare spazi e spazi, / senza fermare in alcun d’essi il piede, / lo spirto universal non vuol legarci, / ma su di grado in grado sollevarci”, e forse il modo per amare questo tempo è amando noi stessi.
Buon tempo per amarvi a voi!
Luana
articolo pubblicato per la prima volta sul blog Caro Diario Social, 11 Gennaio 2019
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