New York, uno scrittore e un autoritratto lungo un anno

Il bello delle fotografie è che sono fisse e immobili solo in apparenza. Esse, in realtà, sono un fotogramma perfetto di un racconto capace di farsi e rifarsi, costruirsi e sempre narrarsi a chi era lì presente e per chi possiede occhi capaci di interrogarsi, figli della curiosità e della meraviglia mai ferme. Le fotografie rivelano il tempo che è stato, l’identità di cui eravamo testimoni e portatori, le evoluzioni e le trasformazioni. Un viaggio nel passato mentre già si viaggia, inconsapevoli, verso il futuro: avevate mai pensato che nell’istante in cui stringiamo tra le dita una fotografia in realtà accade ciò?

Partendo dalla mia personalissima filosofia sulla fotografia – e di quest’arte potrei parlare per ore -, nonché dalla mia passione per la fotografia, mi sono accostata a un libro, preferendolo sin da subito per simpatia e affinità a un altro, inserendomi così in un gruppo di lettura dedicato alle Geografie.

Primissimi di Gennaio, un’unica libreria ospita due gruppi di lettura: uno dedito alla geografia intesa come mete e luoghi verso cui viaggiare, l’altro dedito alle storie – e le storie sono sempre d’amore. Per ciascun gruppo, un titolo proposto. Dopo aver letto la quarta di copertina di entrambi, ecco il mio solito gioco: aprire una pagina a caso, leggere il primo periodo completo che mi capita sotto gli occhi. Se con la trama quello legato al gruppo “Storie” s’era già bruciato da solo, con la risata fragorosa strappatami dal secondo si dissolvevano i dubbi e la scelta veniva confermata per Maurizio Fiorino, autore di Autoritratto newyorkese.

Il protagonista di questo romanzo metropolitano è un giovanissimo italiano giunto oltre oceano per trovare la propria America, vale a dire la fortuna, la realizzazione del sogno di gloria e di affermazione. Un ventitreenne di cui i lettori non leggeranno mai il nome, così come non conosceranno mai le considerazioni, le riflessioni, i sentimenti più intimi di tutto il suo primo periodo nella grande metropoli, se non verso il finale, in una sorta di introspezione retroattiva che riconcilia e rivela. Il lettore vive, attraverso le pagine, il periodo difficile del protagonista: il suo primo anno a New York, duro, crudo, perché basato sulla precarietà di chi vuole tentare il tutto per tutto, di chi sospende ogni giudizio e sopporta qualsiasi condizione pur di andare avanti. Ogni avvenimento è tracciato nella superficialità senza profondità, elemento indispensabile per non impazzire, per non cedere alla tentazione di mollare il proprio sogno e la propria ambizione e tornare in Italia, al comfort di una vita troppo stretta. Il sogno del ventitreenne è diventare un grande fotografo. Gli annunci che pubblica sul (noto) sito americano Craiglist scandiscono le sue ore, le sue giornate, le sue settimane; le risposte che riceve determinano il susseguirsi di situazioni, incontri, conoscenze bizzarre e inquietanti, così come di lavori malpagati, di appartamenti e posti letto da topaia, e di altri uomini con cui prostituirsi, oltre all’unico che per un anno (l’anno solare che ha determinato il passaggio dai ventitré ai ventiquattro anni d’età, nonché dal caos alla nascita di una nuova stella, per dirla come Nietzsche) ha tenuto al proprio fianco: Lou, che non poteva diventare compagno di vita, ma solo di passaggio. Con seri problemi psico-comportamentali, tossicodipendenze, senza lavoro, senza regole, senza equilibrio mentale, Lou accompagna il protagonista in alcune vicende, alcune anche scabrose, ma l’uno si fa pilastro per l’altro e l’altro si fa specchio dell’assetto ondivago della vita del primo. Sebbene nel libro siano descritte scene di sesso, di droga e di vita al limite (dell’igiene e della salute mentale soprattutto), il lettore più attento scoprirà che nel protagonista non c’è vita interiore determinata da morale o etica a fronte di tutto ciò: l’astensione di giudizio e di autocritica sono propedeutiche alla necessità di resistere, di adattarsi, di andare avanti in una grande città dove ogni uomo è formica facilmente calpestabile. Sono propedeutiche alla necessità di sopravvivenza, direi. Esiste un’identità da custodire e tutelare, certo, ma è prioritario il sogno da realizzare e declinare, da cui far emergere una nuova identità, quella di un più realizzato e fedele alla propria immagine interiore, per questo il protagonista va avanti nonostante tutto, adattandosi seppur vivendo sempre ai margini. Si tratta dell’atteggiamento tipico di chi sa che quello è un momento di transizione e allora ogni cosa va bene, anche avere un’amicizia sbagliata, una relazione tossica con un narcisista manipolatore capace di tradire e sfruttare, purché la mente sia sempre occupata e l’animo non si faccia indagatore, purché si viva sopravvivendo e non ci si lasci sopraffare dallo sconforto, dal timore del fallimento, dalla resa dei conti che è bene rinviare sempre un po’ più in là.

Prima di rispondere alla mia provocazione, Lou si è messo a ridere e ha lanciato la sigaretta a terra. Mi ha abbracciato stretto e mi ha dato un bacio su uno zigomo.
« Siamo ancora dei bambini, a volte» ha dichiarato.

Maurizio Fiorino, AUTORITRATTO NEWYORKESE, edizioni e/o, pg. 138

Non è un caso se verso la fine del romanzo, in una corrispondenza tra vera evoluzione esistenziale ed esamina di sé mista a consapevolezze, rivelazioni e nostalgie, il protagonista ci racconti della sua adolescenza, della sua infanzia, di suo padre, di sua madre.

La madre che era bipolare e gli aveva buttato via i suoi autoritratti, quelli che si scattava nel pieno dell’adolescenza più per scoprire chi fosse coi propri occhi che per esaltare l’ego attraverso scatti da mostrare a estranei compiacenti.

Il papà che era un bambino invecchiato all’improvviso, fragile e incapace, verso cui prima nutre rabbia poi tenerezza, una tenerezza in cui accoglie anche sé stesso quando dichiara la somiglianza dei loro volti.

«Giochiamo?» mi aveva chiesto. Aveva tra le mani una vecchia scatola di Monopoli. (…) Ancora oggi, a distanza di anni, se qualcuno dovesse chiedermi chi fosse mio padre, mi vengono in mente quei giorni: le strategie bizzarre che architettava, le scelte avventate, il modo in cui malediceva il dado che, secondo lui, era rotolato in maniera sbagliata, i malumori che celava a fatica per ogni proprietà persa o turno in galera. E quello sguardo che diventava ombroso tutte le volte che perdeva. Era bambino, mio padre, un bambino molto più piccolo di suo figlio, che per qualche strana alchimia aveva saltato tutta una fase ed era diventato subito anziano. E che, da qualche parte lì in mezzo a quel passaggio, aveva creato quel che ero.

Maurizio Fiorino, AUTORITRATTO NEWYORKESE, edizioni e/o, pg. 163

Nessun disordine è per sempre e nessuna precarietà vissuta con tenacia, coraggio e determinazione resta senza soluzione: è quello che ci racconta Maurizio Fiorino con questo libro di cui non vi svelerò il finale. Posso solo dirvi che è un finale con pagliuzze nell’aria ad avvolgere il nostro eroe in un’atmosfera magica e calda, nel momento in cui fa esperienza della propria personale “ora d’oro”: quella beatitudine che sperimentiamo nell’animo quando le cose iniziano a essere al proprio posto e la strada si apre davanti a noi, richiamandoci ancora una volta a rimboccarci le maniche ma con entusiasmo e gioia nel cuore, con serenità sul volto, nuova quiete nel cuore.

Perché definisco eroe il protagonista? Perché, come Enea e Ulisse, non si lascia sopraffare dagli eventi, continua il suo viaggio e, seppur guardando bene in faccia le sirene della realtà contemporanea che in realtà sono mostri, non perde la ragione, non smette mai di essere presente a sé stesso, di avere il controllo della situazione e la capacità di gestire gli eventi, né si lascia destabilizzare davvero e irrimediabilmente dall’altrui “anomalia”.

Diciamo che, ecco, delle persone mi piace più capire il modo in cui fingono di essere normali.


Maurizio Fiorino, AUTORITRATTO NEWYORKESE, edizioni e/o, pg.24

Dall’inizio alla fine della narrazione la storia – più fisica che sentimentale – con Lou prende piede e poi si disperde, non senza la volontà del protagonista. La loro relazione è di dipendenza, di distruzione condivisa e di una strana tenerezza vissuta sempre come nota stonata, oserei dire.

Per quanto Lou sia americano, così come Oliver e altri personaggi, si tratta sempre di vite al margine, a sottolineare la difficoltà di integrarsi in una cultura e in una società quando non si hanno risorse economiche che consentano l’accesso a luoghi di aggregazione più privilegiati. Tuttavia, quello che salva il nostro eroe è il suo mantenere vivo l’amore per l’arte attraverso i musei e le opere che visita in solitaria, come un momento per sé stesso in cui preservare la propria integrità interiore a dispetto di tutte le peripezie.

I temi e gli avvenimenti del libro possono risultare destabilizzanti per molti lettori, e questo è quello che più mi è giunto e mi ha colpita nel corso delle condivisioni durante l’incontro del gruppo di lettura. Lo squallore sia letterale sia metaforico di ambienti ed episodi riportati nella narrazione per alcuni erano riconducibili a New York, quindi a qualcosa lontana da sé, dalla nostra realtà territoriale nonché sociale. Personalmente ho riportato come nulla è mai lontano da noi, anzi molto spesso al tavolino del bar accanto a noi potrebbe essere seduta una coppia che vive esattamente come Lou e il nostro giovane fotografo in erba; ne sono prova il fatto che anche nelle nostre cittadine esistono topi e scarafaggi vaganti in pieno giorno così come quelli descritti tra le pagine del romanzo. Personalmente, ho apprezzato molto l’uso puntuale e rigoroso della punteggiatura, oramai divenuto miraggio negli scrittori di ultimissima generazione legati a tecniche e strutture narrative suggestive e sensazionalistiche, dove l’uso della punteggiatura mi pare essere divenuto un vezzo tutto stravagante.

Se leggete il libro, divertitevi a creare una playlist con i titoli dei brani musicali riportati dal nostro autore, o a vedere i film del cinema italiano e straniero citati. Ci sono anche riferimenti a opere della letteratura latina, all’arte scultorea e pittorica, ai luoghi più popolari e meno della Grande Mela, come inevitabilmente Chinatown.

IL GRUPPO DI LETTURA

Ho letto “Autoritratto newyorkese” aderendo al gruppo di lettura GEOGRAFIE della libreria LIBERRIMA di Bari. Ci sono due gruppi di lettura: con uno si viaggia attraverso i libri, percorrendo geografie di storie che portano altrove; con l’altro si vivono storie d’amore. A guidare nel dialogo e nel confronto, le due libraie giovani, curiose, attente e vivaci. Recatevi in libreria per tutte le informazioni, magari ci troviamo lì.

LE CITAZIONI

Tutte le citazioni sono fedelmente riportate dall’opera “AUTORITRATTO NEWYORKESE” di MAURIZIO FIORINO, edito da edizioni e/o. Le fotografie riproducono stralci dell’opera.

L’AUTORE

Cercate voi stessi Maurizio Fiorino su internet e tramite i social e curiosate un po’. Scoprirete che oltre a scrivere ama la fotografia. Anzi, mi correggo: scoprirete che è un bravissimo fotografo e che ha vissuto a New York.

L’ARTICOLO E LE CONSIDERAZIONI sulla fotografia e sull’opera sono tutte opera mia. Per tutto il resto, c’è la famosa carta di credito.

Luana Lamparelli
Luana Lamparelli, pugliese, autrice e scrittrice, collabora con artisti, scrive racconti romanzi e poesie, cura rubriche.

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